Ci troviamo a Praticello di Gattatico in piena zona agricola, una delle zone a maggior vocazione agricola della regione Emilia-Romagna e forse d’Italia. Qui tra tante coltivazioni e Aziende Agricole in particolare ne abbiamo trovata una che produce mais e leguminose da granella. Riparata da siepi e boschetti naturali pieni di vegetazioni, insetti e uccelli sorge – bagnata da un piccolo laghetto artificiale – l’Azienda Agricola Cucchi. Interamente dedicata al Bio, come una missione. Incontriamo proprio “sul campo” Gian Alfredo Cucchi titolare dell’omonima Azienda Agricola….
Da quando siete Agricoltori?
Ma… praticamente è dal 1900 che la mia famiglia si occupa di agricoltura. Io – che rappresento la terza generazione – sostanzialmente sono da sempre agricoltore. Da giovanissimo ho poi unito questa tradizione familiare alla scuola e all’università facendone quindi un percorso sia di pratica che di studio.
Hai sempre prodotto mais ma soprattutto come ti sei convertito al bio?
No… Inizialmente inizio con produzioni di pomodoro da industria poi grazie all’incontro con PROGEO produco soprattutto Cereali e leguminose da Granella.
Ed è nell’85 che però il mio percorso prende la piega che cambierà la mia vita e la nostra esperienza lavorativa diventando il primo Agricoltore Biologico Certificato (cioè controllato e approvato sia da Regione che Comunità Europea). E’ stato un approdo fondamentale… erano ancora anni di grande sperimentazione, eravamo pionieri… Tuttavia lentamente – sperimentando anche un tipo di agricoltura non semplicemente biologica, ma biodinamica – abbiamo potuto appurare come questo modo di produrre, se sapientemente condotto, riesce a garantire sostanzialmente le stesse performance in resa di quantità a fronte di un miglioramento incredibile della qualità del prodotto.
Come pioniere dell’agricoltura bio in Italia ci sai dire in due parole che cosa differenzia l’approccio bio da quello no-bio?
Mah… sicuramente l’approccio che differenzia in modo sostanziale l’agricoltore bio dagli altri è una smodata, esagerata, profonda attenzione e conoscenza nei confronti di quelle che sono tutte le leggi della natura e del creato. Il rispetto è questo: osservare la natura, conoscere le sue leggi, assecondarle senza prevaricarle. E’ un equilibrio che con intelligenza e studio l’umanità deve poter perseguire… Pena l’inevitabile disfacimento della realtà naturale (e dunque anche dell’ambiente umano)
Quale – dunque – tra queste “leggi della natura” da rispettare ti senti di dare più peso?
Certamente la “prima” legge è sicuramente il rispetto della biodiversità. I campi su cui si coltiva ospitano non solo l’agricoltore e le sue coltivazioni, ma anzi sopratutto una miriade di insetti, erbe, animali che tutti assieme devono concorrere alla creazione dell’equilibrio dell’ecosistema. In un ettaro di terreno biologico ci sono 50 quintali di organismi viventi. Gran parte dei quali aiutano o possono aiutare l’agricoltore nel suo lavoro… senza ricorrere alla chimica! Rispettare questa legge (e quindi riconoscere che noi umani non siamo gli unici al mondo) è forse una delle prime condizioni sine qua non che determina se sei in grado di fare agricoltura biologica/biodinamica o no.
50 quintali di organismi viventi per ettaro… per esempio?
Il lombrico per esempio… è centrale per la fertilità del terreno. Si è scoperto che l’intestino dei lombrichi può essere definito il sistema immunitario dei campi perchè i batteri che esistono nel loro “stomaco” riescono a devitalizzare tutti funghi nocivi per le nostre coltivazioni. Eliminare i lombrichi con diserbanti -per esempio- aumenta del 90% la possibilità che le piante si ammalino obbligando all’utilizzo di prodotti chimici per curarle… innescando così un circolo vizioso devastante. Devastante…. Io per esempio mi rendo conto di operare in un contesto che negli ultimi trentanni è profondamente cambiato. Estati aride e secche, e in generale 3 o 4° di temperatura in aumento…. queste sono tutte avvisaglie drammatiche delle ferite che stiamo infliggendo alla terra e all’ecosistema a partire da sbagliati modelli produttivi (e dunque di consumo). Il modello agricolo intensivo che cerca di avere più guadagno nel minor tempo possibile sta portando a una vera e propria catastrofe naturale.
Perchè in tutto questo allevare o fare agricoltra bio potrebbe salvare le sorti del pianeta?
Mah… guarda la questione è semplicissima: mentre l’agricoltura Bio immagazzina l’anidride carbonica dell’atmosfera e la immette nel terreno per fare sostanza organica… quella chimica non fa altro che immettere sostanza organica nel terreno e conseguentemente immettere quantità insostenibili di anidride carbonica, protossido di azoto e metano nell’aria. Ecco perchè le stesse Nazioni Unite ritengono che il 35% dei mutamenti climatici siano dipendenti dalle colture chimiche intensive.
Ma in questa visione cupa e drammatica… c’è speranza?
Si la speranza c’è… Anzi la situazione deve cambiare grazie al nuovo orientamento dei consumatori. E’ indispensabile che chi compie il grosso sforzo di coltivare o allevare bio venga riconosciuto da una sempre maggior fetta di consumatori che consumando un prodotto biologico non solo si garantiscono un consumo più sano e di altissima qualità, ma contemporaneamente contribuiscono al miglioramento delle condizioni di salute del Pianeta.
Non è solo la qualità alimentare a nascere in campo… ma a ben vedere può esserlo anche quella della vita dell’intero pianeta.
Ti è piaciuto il post? Lascia un commento!